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Con le arti marziali l'intelligenza filosofica spartisce fin dai suoi inizi l'attitudine strategica e agonistica, la destrezza accorta e dirimente. Tuttavia delle ingegnose movenze del sapiente guerriero, della sua duttilità mentale nello sciogliere enigmi e nell'irretire o eludere gli avversari, non reca traccia l'apparato categoriale né della logica classica, da Aristotele a Kant, né di quelle postclassiche. La loro impostazione, pur rivoluzionata nel tempo, si regge ancor sempre sull'alleanza tra leggi supreme e un'idea incrollabile di univocità, che depaupera la potenza del pensiero restringendolo a procedure livellari e inferenze rigide. Contro questa rigidità ormai esausta, ma finora non scalfita, Giovanni Bottiroli schiera persuasivamente gli argomenti di una logica allargata, in cui la flessibilità sia ragion d'essere, modo di operare e scopo, e ottenga il primato che le spetta tra le categorie. Nasce così un pensiero modale che non scinde il "che cosa" della metafisica occidentale dal "come". Perché pensiamo in molti modi, ossia attraverso stili diversi e combattenti, ed è proprio lo stile - che un noto adagio di Frege liquidava come affare di sarti e calzolai - a inoculare il principio di instabilità che ci fa comprendere l'eterogeneità della mente, il pluralismo logico, il linguaggio della densità nell'arte, il conflitto insito nell'identità.